Vi siete mai accorti che oggi i loghi dei digital brand sono tutti uguali?

 

Nel corso degli anni, è naturale che il logo di un brand subisca un’evoluzione.

Ma vi eravate resi conto che, oggi, sono tutti praticamente uguali tra loro?

Oh no Type Co., è un blog, con base a San Francisco, che si occupa di grafica, genere lettering e font. Il 13 febbraio, il blog ha postato un tweet che recita un allarmante “EVERYBODY FALL IN LINE!” (“Tutti in riga”), accompagnato da un’immagine che mostra alcuni loghi di celebri brand della digital economy, quali Google, Airbnb, Spotify e Pinterest.

L’immagine si spiega da sé.

Nella prima riga il logo riportato è quello originale. Ognuno ha la propria identità, e ha quindi la capacità di essere ricordabile e riconoscibile. Nella seconda riga troviamo invece la loro versione più recente. Tutti i nuovi loghi hanno caratteri tipografici sans-serif notevolmente simili tra loro.

Le spiegazioni di questo cambiamento sono di tipo tecnico, strategico e culturale.

 

Proviamo ad analizzare queste motivazioni.

Per quanto riguarda quelle grafiche, si tratta in tutti i casi di caratteri Sans Serif, letteralmente “senza grazie”. Sono cioè tutti privi dei tratti terminali, comunemente denominati bastoni.

Sono quindi caratteri molto semplici, facili da riprodurre e soprattutto da leggere sugli smartphone. È quest’ultimo infatti il mezzo più utilizzato in assoluto, attraverso cui ci informiamo, navighiamo, comunichiamo. Di conseguenza è semplice, e ovvio, comprendere e concordare questa scelta stilistica.

Impatto e chiarezza sono ormai le key words richieste primarie da tutti i brand per la costruzione dei loro loghi. Questo in parte perché ci si rende conto che gli utenti sono sempre più bombardati da elementi visivi di ogni genere, e in parte perché un marchio semplice e leggibile evoca anche servizi facili da usare, diretti e chiari.

C’è poi da fare una riflessione più orientata al marketing, legata al logo e all’identità visiva.

Un tempo il logotipo era ispirato al concetto da comunicare. Ad esempio, il citato logo originale di Spotify con quelle onde sonore sopra la O faceva intuire che si trattava di qualcosa legato alla musica.

Adesso il logo non ha più questa funzione fondamentale. Oggi, a fissare il concetto, è il marchio, ossia il nome ed i valori che evoca.

C’è infine una riflessione specifica da fare sui brand legati alle utility digitali.

Oggi siamo così pervasi da app, siti e servizi mobile che sono diventati parte della nostra vita quotidiana e quindi anche della nostra “lingua”.

I marchi diventano quindi sempre più parole, o meglio, verbi, di uso comune.

In inglese, l’espressione “I google this” è ormai un esempio intelligibile da tutti, persino nella (fastidiosa) forma italiana “Ora lo googlo”.

È quindi evidente che, se un marchio diventa parola, è più importante che diventi un carattere piuttosto che un logo.